Perché il bambino cuoce nella polenta | Aglaja Veteranyi

Romanzo del 1999, oggi, viene pubblicato da Keller editore con la traduzione di Emanuela Cavallaro.

Un filo sospeso su cui volteggiano libere le parole di Aglaja Veteranyi, nata e cresciuta nel mondo del circo.
Il padre è clown, domatore, appassionato di cinema che gira film amatoriali spendendo un sacco di soldi e usando le donne della sua famiglia come attrici.
La zia legge fondi di caffè e colleziona peluches vinti dai suoi amanti mentre la mamma resta appesa ai suoi capelli volteggiando nel vuoto. Per colmare la paura della nostra piccola protagonista di vederla morire in una delle sue esibizioni, la sorella maggiore le racconta la storia del bambino che cuoce nella polenta che per paura si addormenta nascosto in un sacco di mais che la nonna getta inavvertitamente nell’acqua bollente.

Mentre la favola diviene di volta in volta sempre più cruenta scopriamo che la bambina sa tutto di anelli e acrobazie ma nulla sa dei libri. Eppure lei strappa le pagine dell’enciclopedia e le mastica, così che le parole le restino dentro.
Aglaja ci racconta la Romania, ove le persone non possono pensare liberamente, neanche in sogno e un passato da cui la famiglia cercava di riscattarsi; i nostri averi sono avvolti in carta di giornale dentro una grossa valigia. Collezioniamo cose belle di tutti i paesi per la nostra grande casa. Ci narra di quanto forte scalpiti la nostalgia di casa

Mio padre dice che dell’odore del proprio paese ci si ricorda in qualsiasi posto, ma lo si riconosce solo quando si è lontani

Ogni pagina è come una piccola fiaba che ti trasporta in un mondo surreale, una fiaba scritta attraverso la mano di una bambina e la spontaneità dell’infanzia. Pensieri che ti obbligano a fermarti e a pensare a quel luogo dove gli angeli custodi non sono mai tristi, dice il direttore del circo, esistono proprio per diffondere allegria.

Al surrealismo di queste pagine si fa strada un realismo via via sempre più crudo e netto: quello in cui le due sorelle vengono spedite in un collegio svizzero le cui ferree regole pongono fine a tutti i sogni, a tutte le storie. Senza sentire il battito del cuore della madre, vivere in collegio è come cuocere nella polenta. Ma neanche tornare a vivere con lei sarà la soluzione: i genitori si sono separati, la zia è scappata con un uomo e la sorella confessa di avere avuto un rapporto incestuoso con il padre.

L’autrice ci regala un racconto ricco di emozioni. Affronta con leggerezza e ironia temi come la morte e l’abbandono in una prosa intensa, memorabile e travolgente. Un romanzo sulle proprie radici, sulle cose che portiamo nella nostra valigia e soprattutto, sull’infanzia.
La felicità non è come l’aveva immaginata. E questa fiaba non ha il lieto fine. Dopo aver vissuto una vita diversa da tutte le altre, aver imparato da autodidatta il tedesco, dopo aver scritto su alcune riviste e aver dato alla luce questo romanzo di enorme successo, Aglaja si toglie la vita nel lago di Zurigo nel 2002.

Addormentata come quel bambino in un sacco di mais, Aglaja ci lascia in eredità tutte le esistenze possibili, la fragilità, le paure di una bambina girovaga del mondo.

Dio mangia la polenta per amore dei poveri. Anche lui è uno straniero, che va di paese in paese. È triste perché ha di nuovo un lungo viaggio davanti a sé.

Buon viaggio Aglaja, la tua vita vive in eterno nelle tue parole.

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