Anna sta coi morti

Letteralmente, perché prima della malattia, Anna lavorava all’obitorio; sottoterra, al piano meno uno. Adesso Anna attende di morire a causa di una leucemia linfoblastica acuta.

Dovrebbe sottoporsi alla chemioterapia, ma la rifiuta perché ciò metterebbe a rischio la vita del bambino che porta in grembo. Sceglie da sola, senza chiedere il parere di Enzo, il suo compagno, voce narrante e suo sostituto in obitorio.

<<Guardiamo i morti per capire i vivi”. La morte ci rivela. L’obitorio è un edificio per identificare i cadaveri. Io non sapevo chi ero . La mia non era una crisi di identità ma una sua ricerca. Era quello il luogo in cui dovevo essere. Quel luogo serviva a riconoscere me. Che non fossi morto era solo un dettaglio. Come dice Alberto: la differenza tra un vivo e un morto sta solo nel posizionamento al di sopra o al di sotto della terra>>.

E Enzo, morto, lo sembra davvero, ancorato a un passato che graffia la pelle. L’abbandono del padre e la morte della sorella Eva sono traumi cuciti addosso; bruciano, sembrano vivi.

Talmente pesanti da comprimere l’aria e lasciarlo soffocare, fino ad allontanarlo dalla madre e costringendolo a colmare vuoti attraverso incontri con vedove compiacenti e il lavoro in obitorio.

È questo il luogo perfetto in cui nascondersi dalla morte che colpisce Anna, che assottiglia il suo corpo, che la fa sanguinare. Un posto in cui rifugiarsi mentre il loro rapporto crolla in mille pezzi. In ogni frammento il riflesso dell’attesa, delle paure e della morte, compagna invisibile della nostra vita.

E Anna?

Anna scrive sul suo profilo social della malattia, dà conforto ai malati come lei. Spinta da Enzo, parteciperà a un programma televisivo “Ricordati di santificare i vivi” nel quale si racconta. Si mostra forte davanti ai suoi spettatori, si cala perfettamente nel ruolo del guru che mostra tutto il suo coraggio e l’autocontrollo, a metà tra esposizione mediatica e intimità.

Infatti, è lontano dalle telecamere che Anna mostra il suo lato più triste. È a Enzo che fa vedere la parte vera, fatta delle conseguenze di una malattia che umilia il corpo e lacera la dignità.

Il consumismo è il tentativo di riempire un vuoto interiore con le cose; la relazione fa lo stesso con le persone. Tutto nasce da un vuoto. Ne riempi uno e ne formi un altro. Ma fare un figlio non riempirà il vostro vuoto: lo allargherà.

E se nemmeno il figlio può salvare la loro relazione, la malattia ha portato a galla tutte le fragilità e le debolezze mai superate.

Forse Anna non ama più Enzo, forse Enzo ha già smesso di amare Anna.

È tutto sottosopra. Tutto come non doveva essere.
E intanto Anna aspetta di morire.
Enzo aspetta.
Il mondo aspetta.

E la difficoltà non sta nell’accettazione della morte ma in quel processo che va di pari passo con l’attesa, ovvero, prepararsi alla perdita e accettarne tutte le conseguenze.

Forse l’atto più difficile richiesto all’essere umano.

Anna sta coi morti è 150 pagine pregne di dolore, malattia, morte e sensi di colpa. Una scrittura scarna che racconta l’essenziale e concentra intere esistenze. Parole che raccontano silenzi. Pagine che sono lame affilate che tagliano la pelle costringendoti a guardare fino a scorgere il fondo di quella lacerazione. E mentre anneghi in quel mare di dolore, non puoi chiederti perché stai annegando, ma come tirarti fuori.

È così che si sopravvive. È così che si vive.

Grazie alla scrittura diretta e senza fronzoli di Scalese, la lettura è molto scorrevole. L’autore pone l’accento sul tempo dell’attesa.

L’attesa della fine. L’attesa della vita stessa.

Un romanzo che ci ricorda quanto possa essere amara l’intimità non rivelata sui media e quanto coraggio serva per guardare i pezzi rotti della propria vita accettando il dolore di ciò che è e ciò che sarà.

Forse aveva ragione Emilia, la morte non è uno degli aspetti della vita: è la vita a esserlo rispetto alla morte.

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