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Chi è nudo non teme l’acqua | Matthieu Aikins

Kabul, anno 2016: i talebani avanzano e i boati delle bombe sono sempre più forti. A niente serve
alzare il volume della musica: la guerra entra dalle finestre e cammina per le strade. Fuggire dal Paese è l’unica via per la salvezza.
Questa è la storia di Omar, traduttore per le forze statunitensi che ha creduto che gli Stati Uniti gli avrebbero rilasciato il visto e che, invece, dovrà affidarsi a persone senza scrupoli per poter arrivare in Italia.
È la storia di Matthieu Aikins, giornalista e autore del libro che, con le sue sessantamila parole appuntate di notte su uno smartphone, ci racconta della terribile rotta che passa attraverso le montagne invalicabili dell’Asia Centrale fino al Mediterraneo.
È la storia di due amici conosciutisi nel 2008 quando Matthieu arrivò per la prima volta in Afghanistan e Omar era il suo interprete e al quale, negli anni di lavoro insieme, è finito per voler bene davvero.
Grazie al taglio dei suoi occhi, il colore della carnagione, la barba folta e i capelli scuri che gli conferiscono l’aspetto di un afghano, l’autore ha potuto vestire i panni di un migrante e accompagnare Omar nella rotta tanto dibattuta in tv e attaccata dai politici: quella del Mediterraneo.
Questa è la storia di cento milioni di persone con un volto e dei ricordi che, senza più nulla da perdere, non temono l’acqua; anche quando non hanno mai imparato a nuotare.
“Nulla è intollerabile, finché non esiste un’alternativa, fosse anche un sogno”.
Aikins ci prende per mano e ci fa camminare nel mondo di cui sentiamo parlare, che pensiamo di conoscere e che, invece, non conosciamo affatto: è il mondo dei migranti, di coloro che lasciano la propria casa e il proprio letto in cerca di salvezza e di una vita migliore.
Come Omar che, per dare un futuro diverso alla donna che ama, si affida ai trafficanti, supera confini e pestaggi. Camminiamo con lui, sentiamo le sue paure, le sue remore, tutto il coraggio che prende a braccia aperte e porta sopra
le spalle come un fardello.
Tutto questo per approdare nel campo di Moira, sull’isola di Lesbo che somiglia più a una prigione che a un campo profughi; dove esistono umiliazione e violenza. E forse è “normale” sia così per chi certa gente non la vuole. Perché se scappi da guerra e brutalità, devi usare solo più violenza per dissuaderli dal credere di meritare una vita degna di essere chiamata tale.
Nonostante la bruttura di questo posto, Aikins (con regolare passaporto canadese) resta accanto all’amico. Non lo abbandona, siede vicino a lui con l’umiltà di chi sa che, pur essendo lì, non potrà mai davvero comprendere cosa significhi essere un rifugiato.
Esiste una disparità profonda tra noi e loro, tra paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. E per quanto bella possa essere la parola uguaglianza, la verità è che non siamo tutti uguali.
Mi risuona una frase di Steinbeck “la gente comoda nelle case asciutte provò dapprima compassione, poi disgusto,
infine odio per la gente affamata”.
Quando ascoltiamo o leggiamo i numeri che arrivano da noi, dobbiamo soffermarci e pensare che ogni singolo numero è una vita che chiede salvezza.
Prima di puntare il dito e esclamare che se ne potevano stare a casa loro e così non sarebbero annegati, dovremmo ricordare che sono persone che, tra mare aperto, fango e paure, non hanno MAI, nemmeno per un secondo, avuto la certezza di arrivare da qualche parte e vivere.
E allora, forse, dovremmo riconoscere che il problema non è l’emigrazione ma è quello che costringe persone uguali a noi a
cambiare radici e abitudini per un’esistenza che sarà comunque difficile. Esiliati in un posto che non li vuole e li giudica.
“Tutti vorremmo cambiare qualcosa di noi, è il sogno di cui si nutre l’emigrazione: ricominciare da capo, il viaggio è il preludio, la vita viene dopo, ma nessuno può sbarazzarsi di se stesso. Abbiamo a disposizione una storia sola e la raccontiamo voltandoci indietro. L’importanza di ogni scelta, di ogni incontro fortuito, della mano di uno sconosciuto che trema sta in dove ci ha condotti. Siamo animali che raccontano storie e il nostro significato sta tutto nel finale”
Abbattiamo i muri e recidiamo i fili spinati.
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