La forma del silenzio | S. Corbetta

Leo ha sei anni e fin dalla nascita è affetto da sordità bilaterale. Per lui il linguaggio ha la forma dei movimenti delle mani dei genitori e della sorella Anna.
È il 1964 e Leo inizia la scuola lontano dalla sua famiglia, in un istituto, il Tarra, in cui la Lingua dei Segni non è autorizzata e i bambini sono costretti a esprimersi con le parole.
Tutto diviene incomprensibile e una sera d’inverno, mentre Leo si trova al Tarra, scompare. Il silenzio che si lascia dietro è assordante. Nessuno sa dove si trovi e le ricerche risultano vane.
Diciannove anni dopo, Anna è diventata un’insegnante della lingua dei segni, un modo per restare legata a Leo e fare quello che nessuno ha fatto per lui. Un giorno, nel suo studio, arriva Michele che col movimento delle mani e senza emettere alcun suono le dice che Leo è stato portato via da un uomo: Giordano.
La perdita del fratellino si affaccia prepotentemente nella vita di Anna alla quale non resta che scoprire cosa accadde davvero quella notte di diciannove anni fa.

Pagina dopo pagina, si entra in punta di piedi nel dolore di una famiglia che cerca di sopravvivere a un’assenza logorante. Un’assenza di suoni più forte delle parole che lacera quei ricordi in cui Leo era ancora lì, tra le campagne di Lodi, a disegnare il suo silenzio.
In un ritmo lento, sfioriamo la vita di Anna quando, ragazzina, era il pilastro del suo fratellino. Carezziamo quei momenti di delicata intimità tra due fratelli che sono l’uno parte dell’altra. Stringiamo la mano di Anna mentre con la sua ostinazione va alla ricerca di una verità che la condurrà a un’altra grande scoperta: sé stessa. Perché a volte, dal baratro in cui siamo sprofondati, ci si può rialzare e risvegliare vestiti di nuova luce.

Stefano Corbetta ha la straordinaria capacità di raccontarci il mondo attraverso il silenzio, mettendosi dalla parte di quei protagonisti silenziosi della vita che sono le persone fragili.
La forma del silenzio è quella dei fiori disegnati da Leo sulla parete di casa per dire ti voglio bene.  È quella delle pentole e dei ricordi impolverati di mamma Elsa per non crollare sotto il peso del dolore, o quello della fragilità di papà Vittorio. Il silenzio ha anche la forma dei vasi e dell’arte di Giordano e quella delle mani di Anna dalle quali fioriscono parole e amore.

<< […] alzò le mani e incrociò gli indici, imprimendo nell’aria due sigilli, gli occhi di Teddy, due X che Elsa aveva cucito con del filo marrone, e subito dopo abbassò le braccia e se le strinse intorno alle spalle dondolandosi appena, un’espressione tenera e la testa inclinata da un lato. Il viso di Leo si aprì in un sorriso che Anna non gli aveva mai visto prima. Teddy era comparso davanti ai suoi occhi in una forma nuova […]>>

Un libro delicato, un romanzo che dà voce al silenzio e che denuncia una legge che bandiva la Lingua dei Segni (LIS) dalle istituzioni pubbliche. Una prosa semplice e carica di poesia che ci ricorda che esiste anche ciò che non vediamo o sentiamo.

Un libro di cui consiglio vivamente la lettura per porgere l’orecchio a quel silenzio che può essere buio come la notte e che ci porti ad accendere una luce attraverso la quale ritrovarci.

<< E capì di esistere solo in funzione della luce. Senza luce, Leo non era niente>>.

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