Il cardellino | Recensione

Theo è stato sospeso da scuola così, quel giorno, la madre decide di portarlo al Metropolitan Museum di New York a contemplare la bellezza dell’arte fiamminga e in particolar modo quella di un piccolo quadro del Fabritius, allievo di Rembrandt, raffigurante un cardellino incatenato.
Ma più che dai quadri, Theo Decker rimane incantato dalla bellezza di una ragazzina in compagnia del nonno.

Non riesce a distogliere lo sguardo da lei e dai suoi capelli rossi, vorrebbe avvicinarla, sfiorarla ma…
è un attimo e Theo si sveglia tra cenere e detriti, tra cadaveri mutilati e orecchie che fischiano.

L’anziano che accompagnava quella splendida bambina è lì agonizzante accanto a lui e Theo gli fa compagnia mentre la vita gli scivola piano tra le dita. L’uomo parla di qualcosa, fa in tempo a consegnare al ragazzo un anello affinché lo riporti da Hobart e Blackwell e poi lentamente chiude gli occhi per sempre.

Theo prende il suo zaino che pesa molto più di prima, pesa per tutte quelle vite spezzate, per l’abbandono, per quel piccolo quadro rubato in un ultimo gesto d’amore e si tuffa in un mondo di adulti; orfano e vecchio a soli 13 anni.
Gli siamo accanto mentre attende una madre che non tornerà più da lui e che non gli sistemerà più il filo della giacca. Siamo vicini a lui anche quando comprende che il suo unico legame con lei è quel cardellino nascosto da strati di scotch.

Immerso nel suo dolore si ricorda della promessa fatta a un uomo morente, trova il luogo indicato, “Hobart & Blakcwell”, e armato di coraggio suona il campanello. Gli apre un uomo in vestaglia, Hobie che quando vede l’anello che il ragazzino gli porge, lo invita a entrare. Lì ritroverà Pippa, la ragazza del museo, e suo grande amore.

Ma anche dopo l’assenza della bella ragazza dai capelli rossi, Theo tornerà più volte in quella casa, un rifugio tranquillo dal frastuono della vita; proprio lì in mezzo a mobili da riparare, tra vecchio e nuovo, tra polvere e bellezza.
Dopo essere stato dato in affido alla famiglia di Archie, suo grande amico, dovrà affrontare il ritorno del padre che lo porta con sé e la sua nuova fidanzata a Las Vegas, lontano dalla New York che conosce bene; dai suoi profumi, i suoi palazzi, dai ricordi di sua madre.
Proprio a Las Vegas conoscerà Boris, un ragazzo che, nel bene e nel male, cambierà la sua intera esistenza conducendolo nel caos da cui fuggiva, in mezzo a alcol e droghe, ricatti e aguzzini.

Un’esistenza che ci ricorda un po’ quella di Oliver Twist che fa a calci col mondo per trovarvi il proprio spazio e un po’ quella del giovane Holden alle prese coi propri demoni interiori.

Ma anche quando sembra essere sprofondato nel baratro, c’è solo una cosa a tenerlo a galla: il cardellino.
Quel quadro di piccole dimensioni che consacra l’arte e la bellezza come salvezza a cui Theo si aggrappa con tutte le sue forze nonostante un cuore ridotto a brandelli e un’anima che vaga nel caos. Il cardellino è stato il suo sostegno, il suo ponte con una madre che non c’è più, una rivalsa nei confronti di un mondo che lo aveva ferito ripetutamente.

Romanzo di formazione, nonostante molti lo accostino al thriller, “Il cardellino” è un libro che spiazza.
Caratterizzato da una trama per nulla banale e dal ritmo incalzante, le parole sono scelte con cura, la traduzione è impeccabile e la penna della Tartt ci delinea la caducità della vita, i confini sottili dell’equilibrio delle esistenze umane.

Passeggeremo in una new York i cui marciapiedi sembreranno davvero crollare sotto i nostri piedi, tanto è la potenza descrittiva del romanzo tanto quanto la caratterizzazione dei personaggi che quasi ci appaiono reali nelle loro piccole grandi fragilità.
E se da un lato osserviamo la caducità della vita, incatenati come il cardellino di Fabritius, l’unico senso che si può dare al mondo è raccontarlo a qualcuno che amiamo.

Ho scritto tutto questo, stranamente, con l’idea che un giorno Pippa lo leggerà – cosa che ovviamente non accadrà mai.

È in questo che risiede la vera forza del romanzo: nell’innalzare l’arte e la bellezza a potenze salvifiche di una vita altrimenti destinata all’oblio, riempiendo di bellezza gli anni che ci sono concessi.

La bellezza salverà il mondo [Jon Kelman Stefansson]

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