,

Una riccia, un taccuino e un Tabucchi in giro per il Portogallo.

Il mio volo decolla con due ore di ritardo e ne approfitto per fare conoscenza con i miei vicini di posto: una giovanissima nonna e un’ altrettanto giovane madre con un piccolo ometto pelatino e dispensatore di sorrisi. Alle sedici finalmente atterriamo a Lisbona dove mi ha accolta uno splendido cielo azzurro e l’odore di una città senza confini.
Una meraviglia per me, abituata ormai agli alti palazzi di Milano.

L’appartamento prenotato si rivela una scelta azzeccatissima per potersi perdere a piedi tra le vie della città.

Da uno dei belvedere della città si gode una vista meravigliosa del castello di San Jorge che domina Lisbona. Una bella boccata d’aria, un respiro a pieni polmoni, le orecchie tese ad ascoltare nuovi suoni: il fischio dei tram sulle rotaie, un drone che riprende, una coppia di portoghesi che si racconta la giornata davanti a due bicchieri di bianco e il verso dei gabbiani. Giusto il tempo di assaporare la novità e mi dirigo alla Igreja Do Carmo.
Complice probabilmente il bianco della chiesa, il cielo azzurro e un caldo sole dorato, il cromatismo è perfetto.

Come diceva Pessoa “Non ci sono per me fiori che siano pari al cromatismo di Lisbona sotto il sole”.   

Foto e video a qualche tram, il tempo di una doccia e sono già seduta davanti a un piatto di bacalhau fumante e un calice di sangrìa. Attraversando il Barrio Alto trovo una fontana, mi siedo sui bordi, apro la mia scatoletta di cartone, addento la mia succulenta pastel de nata e “gusto il mio compagno di viaggio”

Requiem di Tabucchi si legge senza sosta, ogni parola scorre come i sorsi del miglior porto.
Il protagonista, alter ego dell’autore, deve prepararsi all’appuntamento col grande poeta. Si risveglia alle 12 al molo dell’Alcantara
Oggi per me è un giorno molto strano, sto sognando ma mi pare che sia vero, e devo incontrare delle persone che esistono soltanto nel mio ricordo.
Gli incontri si susseguono dettati dalla casualità: i primi sono il Ragazzo Drogato e lo Zoppo della Lotteria, seguiti dal tassista e dalla Zingara. Sullo sfondo, una Lisbona sfavillante, piena di luci e colori.

Io intanto ho appena finito di visitare il castello Sao Jorge e la cattedrale Sè per ridiscendere lungo il quartiere dell’Alfama che tanto mi fa pensare al mio amato Sud.
[…] Noi siamo roba del Sud, la civiltà greco-romana, non abbiamo niente a che fare con la Mitteleuropa, scusi sa, noi abbiamo l’anima. Lo zoppo ha proprio ragione.

Scatto una foto davanti la Brasileira che per gli amanti di Pessoa, del Portogallo e della poesia o per chi, come me, ha un libro del Tabucchi nella borsa, è una tappa obbligatoria. Preso il treno per Belèm approfitto per leggere.
Ero quasi al capitolo conclusivo: l’alter ego dello scrittore incontra finalmente Pessoa al molo dell’Alcantara a mezzanotte. Cenano in un ristorante post moderno che propone novelle cousine. Mancavano 3-4 pagine alla fine del libro quando il treno rallenta. Eravamo alla fermata del molo dell’Alcantara.
Era un segno. Ho agguantato zaino e borsa e sono scesa.

Soffia un vento leggero. Seguo i segnali e finalmente sono sul molo.
Volevo esserci anche io a quell’appuntamento.
E giunta ormai alla fine del libro riuscivo a sentire il suonatore di fisarmonica  accompagnarmi in un ultimo commiato.

“Obrigada!!”
E mi sono ritrovata a Belèm nel tempo di un sospiro.

Immaginarsi quella torre merlata come parte di un sistema di difesa sulla foce del Fiume Tago è assai difficile. Oggi è circondata di risate, bambini che mangiano un gelato, riflessi pieni di colori. La mia macchina fotografica è scarica e io ne approfitto per godermi quel momento di solitudine in mezzo al mondo. C’è gente da ogni parte del pianeta. Sentire così tante lingue diverse mescolarsi tra loro mi dà davvero l’idea di trovarmi in un luogo senza barriere.
La sera, saliti gli scalini di fronte l’appartamento, mi sono ritrovata in un posto quasi lontano da Lisbona. Nel locale in cui ceno, un piccolo Lenny Kravitz entra nel locale e dà un cinque ai camerieri.
Dev’essere di casa. Poco dopo scoprirò che abita lì di fronte e mi ricorderà le mie estati in piazza.

Dal tram 28, preso la mattina prima del volo dò il mio arrivederci alla città. Il cielo nel frattempo si è annuvolato e le gocce si appoggiano ai finestrini. Anche così Lisbona è incantevole. Proprio in quel momento scopro che il mio volo è stato cancellato. Ho altre quarantotto ore da trascorrere in Portogallo e non c’è altro tempo da perdere.
Sintra, tappa a sorpresa, si rivela un tuffo nel passato. In giro per le bancarelle tutti indossano vestiti d’epoca medievale. Mangio da una tegola di terracotta e sono pronta per percorrere una ripida salita che porta al Palacio de la Pena. Uno splendido palazzo in cui convivono diversi stili architettonici: gotico, manuelino, arabo e barocco. Il rosso e giallo vivaci riaccendono la fantasia. Il cielo grigio e le folate di vento rendono l’atmosfera ancora più surreale: era come se il silenzio della natura echeggiasse più forte del chiacchiericcio.

Dopo aver scattato alcune foto da aggiungere ai miei ricordi mi reco al famoso Pozzo di Sintra composto da una struttura a spirale che rappresenterebbe l’allegoria di morte e rinascita. In fondo al pozzo è rappresentata la croce dei templari e si crede che qui si svolgessero i riti iniziatici. L’ora del tramonto è ormai prossima.  Intraprendo la strada del ritorno alla volta di Cabo de Roca. Lo spettacolo è da lasciare senza fiato: una rocca sull’oceano e davanti solo l’infinito. Ed è qui che lascio a terra macchina fotografica, telefono e qualsiasi cosa possa distrarmi, per godere pienamente di quel “niente” che però è tutto. Resto in ascolto del silenzio e delle onde che si infrangono contro gli scogli mentre il sole, lentamente, se ne va a dormire.

<< Sintra è il più bello addio a l’Europa, quando infine incontra il mare>> (V. Ferreira)

I colori dell’orizzonte, il suono del mare, l’odore di terra…
Il senso di tranquillità che lascio su questo pezzo di terra è qualcosa che porto in valigia per scaldarmi nelle grigie giornate milanesi.

La mattina di buon’ora mi reco a Obidos. Una camminata lungo le mura di cinta, un salto nel negozio di libri, una crepe dal gusto delicato e sono già pronta per il tour nei monasteri di Alcobaca, Batalha e Tomar. Qui giungerò la sera. Dedicherò solo un paio d’ore a questo splendido paesino e al monastero dei templari. Non serviranno parole per descriverli, le foto parlano da sé.
È già tempo di tornare.

Un vecchio treno mi riporta a Lisbona, tra stazioni ferroviarie abbandonate e una bambina dai ricci ribelli e un sorriso bianchissimo  che balla nel corridoio del vagone. Troppo in anticipo per il mio volo, decido di fare un salto all’oceanario. Niente di che, pesci già visti. Ma mai, e dico mai, smetterò di compiacermi alla vista di quel blu e ai bambini che estasiati si perdono con lo sguardo tra le acque delle vasche e si mostrano sorpresi per quel pesce enorme che gli è appena passato davanti.

La meraviglia è sempre a portata di mano, basta solo saperla cogliere.
Il mio viaggio giunge così a termine a bordo del volo che mi riporta a Milano.

Se dovessi descrivere il mio Portogallo in breve, direi che è vento tra i capelli. È un ballo sulle rive del Tago. È voli cancellati e obiettivi fotografici distrutti. È ‘obrigado’, sempre. È ripide salite e mille scalini. È un tramonto alla fine d’Europa. È l’odore dell’oceano sulla pelle. È birra e patatine. È bacalhau e sangrìa. È tutti i tram che attraversano Lisbona. E alberi d’ulivo, monasteri, castelli e torrette. È Pessoa, Ferreira, Saramago ,Tabucchi e tutti i libri letti. È vecchi quartieri e azulejos. È mille sorrisi. È un po’ tutti noi, fatti d’anima e core.

[Portogallo 2018]

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *