Trieste sottosopra | M. Covacich

Racconti in valigia nasce perché porto con me libri ambientati nelle città che visito. Ebbene, non poteva mancare un libriccino su Trieste. La scelta era più vasta di quanto mi aspettassi, ma alla fine ho scelto lui: Trieste sottosopra, di Mauro Covacich.

Accanto alla Trieste austroungarica è sempre esistita un’altra Trieste. Accanto alla città dei caffè letterari, della composta amicizia di Svevo e Joyce, c’è sempre stata un’altra città morbida, disinvolta, picaresca, dai connotati quasi carioca.

L’autore ci racconta una Trieste svestendola dei suoi clichè. Conservatrice dell’eredità asburgica, non è solo la Sissi dai vestiti lunghi e barocchi, ma una Sissi col piercing e ombelico scoperto. Ed è anche la Sissa, incontro di premi nobel della fisica, matematica e neuroscienza.
 Covacich se la prende con una città che regala la sua “letterarietà” attraverso le statue mute di Joyce, Saba e Svevo solo per rispondere alle esigenze del turismo. E lo fa regalandoci una passeggiata sulle orme di Zeno per approdare, lentamente e con un sorriso, al Molo Audace, regalandoci la più bella cartolina della città.

ll bello del Molo Audace consiste in ciò che ci si lascia alle spalle, in quel modo strano di allontanarsi perpendicolari al fronte della città. … Trieste vista da fuori, dal largo, vista da una nave di cemento.

Questo libro è una passeggiata tra le vie delle città, è perdersi nei suoi luoghi caratteristici, è ordinare un goccia in b e un nero in osteria.
È immaginarsi il castello di Miramare che è “come lo disegneremmo se avessimo dieci anni e ci chiedessero di disegnare un castello: bianchissimo, intatto, medievaleggiante”.

È scoprire che la Bora non è un semplice vento, non è nemmeno quel vento fastidioso. No, la Bora è una benedizione, è un momento gioviale per una nonna che affacciata alla finestra “si sistemava bella cuccia – il cuscino dietro la schiena, una moka da sei accanto – e si pregustava lo spettacolo. Quando la gente scendeva dall’autobus lei si sbellicava dalle risate. C’era quello che abbracciava il lampione, quello che si piegava a quattro zampe “.

È bere uno spritz nella terra in cui lo spritz è nato. Sedersi, magari lungo canal grande e ordinarne uno e Vi porteranno un bicchiere da un quarto, metà vino bianco e metà selz (spritzen in tedesco significa sprizzare), una bevanda nata al tempo degli austriaci per dissetare senza ubriacare, che mantiene in sé e ripropone ancora una volta l’identità autenticamente spuria – l’umore vinoso e il cervello frizzante – di Trieste. Come tutte le cose vincenti esportate altrove, lo spritz ha subito mille variazioni sul tema – a Udine lo bevono con il limone, i veneti con il Campari o l’Aperol – ma voi, mi raccomando, diffidate delle imitazioni.

È riflettere su un triste spaccato di storia che nella Risiera di San Sabba e Basovizza mostra la sua più brutta cicatrice. Entrambi lì a ricordarci che la paura genera mostri e i mostri diffondono morte. Che sia vestita di antisemitismo o slavofobia, senza differenza alcuna.

Quando parliamo della gaiezza dei triestini, della loro esuberante gioia di vivere, dobbiamo sempre ricordare la Risiera e Basovizza, dobbiamo ricordare che è gente cresciuta in un posto zeppo di rabbia, dolore e morte. Insomma, non è solo con lo spirito aperto del mare che si spiega la volontà di godersi le cose della vita, ma anche con una sottile, inconsapevole angoscia, l’insopprimibile desiderio di superare e rimuovere.

E forse sta proprio in questa frase, cucita su Trieste, che risiede il fulcro di un’esistenza intera, dal Pacifico all’Adriatico.

Trieste sottosopra è semplicemente Trieste. La città che si affaccia sul mare, che vive di mare ogni anno per tutto l’anno. Che va a fare il bagno a Barcola, e al Pedocin osserva divertita le sciure giocare a carte divise da un muro dalla zona per soli uomini. È l’anima di Joyce e la libreria antiquaria di Saba. È la contraddittorietà attraverso la quale passa la sua identità.
Bisogna visitarla questa città sottosopra spettinata dal vento e dalla storia.
Arrivare al cimitero di Sant’Anna, cercare la tomba di nonna Luisa che i ragazzi di là del muro, con tutto quel gran correre e sbraitare, non lasciano mai sola per ricordarci che vita e morte convivono l’una accanto all’altra, almeno a Trieste: la città più meridionale dell’Europa del Nord.

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