Recensione | Heridas

Nutro un amore profondo verso i libri fin dalla tenera età. Grazie a loro ho imparato a viaggiare e mai come in questo periodo storico tutti abbiamo bisogno di questi compagni silenziosi capaci di raccontare storie e portarci oltre i muri di casa nostra. Spinta dalle foto e dal diario dell’ultimo viaggio di Viaggiatoreda2soldi , ho scelto come compagno di quarantena, ‘Heridas’, e non potevo sceglierne uno migliore per viaggiare davvero e comprendere le sfumature della Colombia. Se si pensa a questo paese vengono in mente violenza, narcotraffico, la lotta dello Stato alle Farc, immigrazione, esilio; una pace difficile da trovare. Ed è quello che si racconta in molti testi. Ma la narrativa che si sviluppa a partire dal 1958 e fino al 1965 cambia volto rispetto alle precedenti narrazioni. Il fil rouge non è più solo violenza narrata attraverso torture, esili e confische, ma diviene l’introspezione e  la poetizzazione dell’odio. La letteratura colombiana si fa quindi portavoce di un’idea nuova di narrazione, dà una ‘puñalada trampera’ alla tradizione e dà alla stampa una letteratura nazionale diversificata come diverso è il Paese che rappresenta: la Colombia coi suoi quartieri e le sue città.
Le vicende raccontate nel libro si snodano però anche negli Stati Uniti, paese di approdo per i tanti migranti colombiani. Questa antologia, pubblicata in Itala da Gran Vìa e tradotta da Maria Cristina Secci, è scritta da una generazione di scrittori, nati tra gli anni Settanta e Ottanta, alcuni già affermati, altri emergenti, che la violenza decidono di decifrarla, di analizzarla. Essa c’è ma non si vede, come un trucco di magia che però non strappa una risata.
In Heridas emerge l’aspetto introspettivo e a volte crudo dell’esistenza umana. Si narra una Colombia fatta di quartieri, città e persone. Persone che nascondono un lato oscuro nell’anima. Si parla di invidia, di rapporti di coppia conflittuali, delle difficoltà di essere genitori, di un vescovo furbetto e i sogni dei bambini. Di una girandola colorata e letteratura. Passeggiamo con Patricia in una Bogotà difficile, quella degli emarginati, vendiamo caffè con diginità sognando un’attività tutta nostra. Che il sogno si sia poi avverato grazie a quella preghiera nella Chiesa Veinte de Julio?! Chi lo sa. Del resto, la Colombia è anche questo: fede.
Il risultato è un quadro variopinto come il paese che si sta ritraendo: un paese ben conosciuto dai nostri autori, i quali portano sulle loro spalle un fardello importante; la consapevolezza che la Colombia ha bisogno di una nuova letteratura, un nuovo modo di narrazione che la riscatti dal suo passato e che possa mostrare quanto colorata, verdeggiante, soleggiata e divertente sia.Essa è molto più di quello che ci è stato tramandato. Agli scrittori di oggi va la responsabilità di offrire le sfumature nuove della letteratura latina, un po’ come quelle del mar Caribe che ogni giorno abbracciano le spiagge di Cartagena.

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