Chiederò perdono ai sogni | S. Chalandon

Sapete cosa dicono gli alberi quando la scure entra nella foresta? Guardate, il manico è uno di noi!

Tyrone Meehan è proprio quel manico. Lui che è nato a Killybegs, Irlanda del Nord, da un padre che parlava gaelico, la lingua della resistenza
Quando cantava la nostra terra, tutti stavano a testa alta con gli occhi che si riempivano di lacrime. Ancor prima di essere cattivo, mio padre era un poeta irlandese.
Sì perché quando beveva troppo, finiva per picchiare Tyrone e gli parlava in inglese, affinché le cose brutte rimanessero dall’altro lato, nella terra degli inglesi occupanti.
Sì, perché quelli sono gli anni tristi della storia d’Irlanda. Delle lotte per l’indipedenza dai britannici. Del sangue versato e delle morti piante prima di un accordo di pace che facesse comodo all’una e all’altra parte. E da albero tra gli alberi che imbraccia pistole, che si fa anni di carcere in nome della libertà che combatte con e per l’IRA, Tyrone diviene il manico della scure. Perché può accadere che anche in un idealista forte e convinto, ci sia una debolezza alla quale il nemico si attacca per sferrare il suo colpo vincente.

Allora Tyrone sarà il TRADITORE di un intero popolo che, prima ancora di essere una nazione, conserva la sua identità culturale.  Combatte Tyrone, combatte contro sé stesso, contro i suoi sensi di colpa contro l’IRA contro i Brits (così come gli irlandesi chiamavano i britannici), contro i suoi stessi ideali.

Cosa resta di tutta questa lotta?
Cosa rimane di Denis Donaldson, amico di Chalandon e suo corrispondente da Belfast?
Rimane un uomo che senza timori racconta del suo tradimento aggrappato all’amore per la sua Shelly e per il suo ometto, mentre aspetta che la morte venga a prenderlo nella casa natale di Killybegs. Lì dove tutto era iniziato.
È proprio la sua storia quella che leggeremo tra queste pagine che viaggiano tra passato e presente attraverso la voce di Tyrone, compagno e poi traditore. Nessuna esistenza viene risparmiata dalla lotta, nè può rimanere indifferente a sé stessa. Bisogna fare i conti con le proprie scelte, con le proprie mani macchiate di sangue, con i propri corpi nudi ridotti all’umiliazione e privati delle libertà. Bisogna fare i conti con la guerra e con la pace, sia essa esterna o interiore.

Mai più la guerra, e la pace per sempre. E io, in un cono d’ombra, senza neanche l’uniforme, senza medaglia, senza amici, senza urrà. Io in piedi in mezzo al mio popolo, sconosciuto, anonimo. Io che avrò fatto tutto questo, tutto. Che potrò finalmente chiedere perdono a Danny Finley, a Jim O’Leary, e chiedere perdono ai miei sogni.

Termina così uno spaccato della storia irlandese troppo spesso sconosciuta e dimenticata. Una lotta che rivive nella sfera privata di Tyrone/Denis al quale Chalandon dà voce, non per assolverlo, né per giudicarlo, ma per comprendere quell’anima la cui unica colpa è stata quella di essere legato ai propri sogni.

Chiederò perdono ai sogni è un romanzo potente che ti si attacca addosso come una seconda pelle.
Non si resta indifferenti davanti alle sofferenze di un popolo che chiedeva la sua libertà.
Chalandon trascende il concetto stesso di bene e male, non ci sono vinti e vincitori in questo libro.
Non ci sono eroi né colpevoli da assolvere.
Ci sono solo pagine che raccontano una guerra cieca a cui non importa della bandiera che porti,
essa ti seppellisce senza voltarsi indietro.

Chalandon è sempre un battito di cuore, di quelli irregolari. Le sue parole te le porti addosso e i tuoi occhi sul mondo non saranno più gli stessi.
Un romanzo forte, intenso. La voce di quei sogni infranti

Quei rimorsi a scossoni che fanno a pezzi i sogni.

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